Perché la coltivazione di canapa sativa è stata proibita?

Una storia di interessi economici e disinformazione

A quanto tempo fa risale l’inizio della coltivazione di Canapa Sativa da parte dell’uomo?
Uno studio della Columbia History of the World del 1996 la colloca addirittura a più di diecimila anni fa.

Alcune prove in carbonio su reperti asiatici e mediorientali hanno dimostrato che sicuramente la fibra di canapa veniva utilizzata già 8000 anni prima di Cristo, vale a dire dall’Era Neolitica.

Ciò significa che quando l’uomo ha iniziato a praticare la coltivazione, la canapa costituiva uno dei prodotti più importanti per i nostri antenati ancestrali.

L’attributo stesso abbinato a questa specie di canapa – precisamente il termine ’Sativa’ che deriva dal verbo latino serere cioè seminare – ne testimonia l’estrema duttilità in campo agricolo.

Come si è evoluta nella storia la coltivazione di canapa sativa

Dalla Cina all’India al Medio Oriente, la canapa  era considerata un prodotto prezioso non solo per l’utilizzo più comune in quanto fibra tessile, ma anche come alimento, per il notevole apporto di fibre.

A livello di sostanza medicinale le proprietà curative erano note già in tempi antichissimi, tanto che in India le veniva addirittura attribuita un’aura sacra e religiosa proprio per i benefici riscontrati sulla salute umana.

La caratteristica versatilità della pianta, adatta a crescere anche su terreni inadeguati ad altre colture – sia sabbiosi che paludosi – ne aveva favorito l’espansione nei Paesi mediterranei e in tutta Europa.

L’utilizzo della canapa nell’antica Roma

Nel mondo greco e nell’antica Roma il raccolto di Canapa Sativa era praticato principalmente per la creazione di fibre e tessuti.

Le tele di canapa ad uso domestico – tovaglie, tendaggi, abiti e altro – erano una presenza abituale in tutta l’area mediterranea e anche nel resto di Europa e la loro lavorazione divenne nei secoli una specifica abilità artigianale di alcuni territori, ancora oggi praticata in chiave di artigianato pregiato.

Da questa pianta si ottenevano anche altri prodotti non meno preziosi: le sostanze oleose utilizzate per l’illuminazione e le farine impiegate sia nell’alimentazione umana che per i mangimi degli animali.

Ma lo straordinario sviluppo della sua coltivazione si è verificato con il fiorire delle Repubbliche Marinare, dal IX secolo in avanti, per il massiccio utilizzo nella produzione di cordami, vele e fibre di ogni genere, indispensabili nel mondo della navigazione.

Nel ‘500 la coltivazione della canapa veniva raccomandata

In Inghilterra, nel Cinquecento, l’imperatore Enrico VIII raccomandava vivamente agli agricoltori di coltivare la canapa per fornire i materiali necessari alla flotta britannica. 

L’espansione coloniale e l’intrinseco legame con lo sviluppo della forza navale erano indissolubilmente vincolati alla produzione di vele, cordami, cavi, gagliardetti, stoppe varie, nonché alla carta con cui venivano fatte le mappe utili alla navigazione e perfino per le Bibbie che venivano date ai marinai.

Nei secoli, la coltivazione e la lavorazione della Canapa Sativa ha assicurato lo sviluppo e la ricchezza di vari territori: in Italia, le zone di Bologna e Ferrara – ma anche nel resto del centro e del sud della penisola – divennero centri di eccellenza e ancora oggi sono visibili i resti delle antiche strutture ad essa adibite.

L’Italia: il secondo produttore mondiale di canapa

Proprio grazie a questa abilità e alla ottima qualità dei vari tipi di canapa coltivati, l’Italia era divenuta il secondo produttore mondiale e il primo fornitore della Marina Britannica.

Il progressivo incremento dei traffici marittimi seguito alla scoperta del Nuovo Mondo non solo diffusero anche al di là dell’Oceano la conoscenza della pianta e ne incrementarono la coltivazione e la lavorazione, ma ne accrebbero anche la conoscenza delle qualità e della duttilità d’uso.

Nel ‘600, in America, la legge obbligava la coltivazione della canapa

Già nel Seicento, in America, precisamente negli Stati della Virginia e del Massachusetts, una legge obbligava gli agricoltori a coltivare la canapa e nel secolo successivo si hanno testimonianze di severe condanne nel caso di inosservanza di tale legge.

A dimostrazione del valore riconosciuto alla pianta e ai suoi prodotti, è da segnalare l’importante funzione di valuta attribuita alla canapa nei Paesi dell’America coloniale dove veniva utilizzata nei traffici commerciali e addirittura ammessa nel pagamento delle tasse.

Per avere un’idea della sua diffusione, l’ultimo censimento della metà dell’Ottocento negli Stati Uniti attestava l’esistenza di circa 8400 piantagioni di canapa, di non meno di 1000 ettari ciascuna.

I progressi tecnici determinati dalla Rivoluzione Industriale portarono ad approfondire la conoscenza della Canapa Sativa e la duttilità dei suoi usi: da Rudolph Diesel che nel 1896 progettò il suo motore alimentato da prodotti agricoli – in particolare semi oleosi – a Henry Ford che per primo intuì il potenziale del combustibile prodotto dalla Canapa e iniziò l’estrazione di metanolo, carbone, acetato di etile e creosoto – sostanze ancora oggi utilizzate nei processi industriali.

La canapa sativa ai tempi del proibizionismo

Sebbene il Petrolio fosse noto già nei tempi antichi, ma utilizzato solo da quei giacimenti superficiali che ne consentivano un approvvigionamento limitato, il progresso tecnologico e la scoperta dei numerosi giacimenti in profondità, uniti al rapido sviluppo dell’industria petrolchimica, hanno determinato una rivoluzionaria trasformazione nel quadro della coltivazione e dell’utilizzo della Canapa Sativa a partire dalla fine del XIX secolo e più intensamente nel XX secolo.

Le caratteristiche naturali della pianta – la sua adattabilità al terreno, la sua robustezza, la rapidità di crescita, l’economicità della coltivazione – ne facevano un concorrente praticamente imbattibile per le nuove sostanze derivate dalla lavorazione dei combustibili fossili e dalle nuove sperimentazioni chimiche.

Il profitto economico che quei prodotti industriali consentivano – enormemente superiore a quello offerto dalla pianta – dette il via a una politica di denigrazione della Canapa Sativa, fino ad arrivare a una guerra vera e propria che, attraverso il potere mediatico, finanziario e  politico, sfociò in un’abile campagna di disinformazione, dipingendo la Canapa come sostanza pericolosa.

Gli Stati Uniti divennero il portabandiera di questa politica denigratoria e, forti della mancata conoscenza nella popolazione della pianta, cominciarono a diffondere informazioni terrorizzanti sull’uso della canapa, attribuendole effetti altamente tossici e allucinogeni, in grado di indurre chi ne facesse uso ad azioni di efferata violenza. La campagna denigratoria si munì di ogni strumento facilmente assoggettabile al potere economico delle maxi-industrie petrolchimiche: dai giornali alla radio, perfino al cinema. E ovviamente trovò ampia sponda nel potere politico.

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Infatti nel 1937 venne emanata la legge sulla cosiddetta Marijuana Tax Act, in base alla quale il Congresso stabiliva una pesante tassa sulla concessione delle licenze e sui regolamenti riguardanti la coltivazione della pianta così da renderne praticamente impossibile la continuazione.

Provvedimento che ebbe larga eco nel resto del mondo e in molti Paesi venne emulato.

Il paradosso della situazione si manifestò nel corso della seconda guerra mondiale, quando gli Stati si trovarono a dover riconoscere di avere assoluta necessità dei prodotti della canapa e misero velocemente mano a provvedimenti sostenitori.

Negli Stati Uniti venne addirittura fondata la War Canapa Industries, una società demandata specificatamente a sovvenzionare la coltivazione della pianta.

Ma il ripensamento fu di breve durata. Finita la guerra, l’ostruzionismo ricominciò più deciso che mai fino all’atto di defenestrazione totale: nel 1970 infatti venne emanato il decreto Controlled Substances Act, con cui, identificando proditoriamente la canapa con la Marijuana, le si affibbiava la definizione di “droga” dichiarandola illegale. 

Le industrie petrolchimiche erano così sempre più libere di inondare il pianeta di petrolio e plastica, causando i disastri ecologici oggi sotto gli occhi di tutti.

In tutti i Paesi del mondo si è arrivati a massacrare immense distese boschive per fabbricare carta, quando si sarebbero potute tranquillamente preservare coltivando canapa.

La riscoperta della coltivazione di canapa sativa

La progressiva presa di coscienza dei danni planetari prodotti dall’uso dei combustibili fossili e dall’invasione di sostanze dannose da essi derivate – per di più praticamente indistruttibili – ha contribuito al ripensamento di quella politica e alla promozione di una conoscenza scientifica più approfondita della pianta.

L’indubbia economicità della sua coltivazione, le riconosciute doti di compatibilità ecologica, addirittura la capacità di migliorare la qualità del suolo su cui viene coltivata – oltre ai prodotti che può fornire e ai loro molteplici usi, sia in ambito tessile che alimentare e medico – hanno contribuito in tempi recenti a focalizzare l’attenzione dei ricercatori in tutto il mondo.

Un gruppo di scienziati guidato da Giuseppe Cannazza, del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con il CNR Nanotec di Lecce, il Dipartimento di Farmacologia dell’Università della Campania e il Dipartimento di Chimica dell’Università La Sapienza di Roma, nel 2019 hanno scoperto due nuovi fitocannabinoidi – il THCP e il CBDP, dalle incredibilmente promettenti capacità farmacologiche.

Giuseppe Cannazza, originariamente molto scettico nell’approccio allo studio della Canapa Sativa, ha radicalmente cambiato il suo pensiero nel corso delle ricerche.

Il particolare specifico che ha indotto l’equipe ad approfondire gli esperimenti sta nell’estrema varietà della composizione chimica della pianta.

Cannazza ha infatti dimostrato che, mentre in tutti i medicinali si trova generalmente un unico principio attivo, nella Canapa ve ne sono una varietà numerosissima – in buona parte ancora da studiare – ciascuno con una composizione chimica ben specifica, suscettibile di variazioni secondo la specifica varietà di pianta e anche secondo il metodo di estrazione.

L’identificazione e il riconoscimento ufficiale del valore terapeutico della Canapa sono stati di recente sanciti dalla dichiarazione ufficiale dell’OMS – l’Organizzazione Mondiale della Sanità – la quale ha proposto di modificare il precedente status relativo ai prodotti della pianta, che venivano etichettati come pericolosi e illegali.

Dopo un lungo lavoro di revisione scientifica, l’OMS ha di fatto sconfessato la precedente posizione proibizionista e ha perfino riconosciuto i danni prodotti da tale posizione che impedivano la cura appropriata di numerose patologie, di fatto reintegrando gli estratti della canapa nell’ambito delle sostanze utili e preziose in campo medico.

Michael Krawitz, Consulente per la politica globale di FAAAT (For Alternative Approaches to Addiction, Think & do tank), plaudendo alla decisione dell’OMS, ha auspicato che finalmente “… la politica non superi la scienza.

Così come Maria Stagnitta, Presidente di Forum Droghe, ha sottolineato che “… si tratta di un passo in avanti, finalmente basato sulle evidenze scientifiche e non sull’ideologia”.

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