Ebbene si, dopo decenni di caccia alle streghe, finalmente una legge (la n. 242 del 2 dicembre 2016) riconosce il valore scientifico ed economico che la Storia degli ultimi 60 anni aveva ingiustificatamente sottratto alla canapa.
Infatti la normativa in oggetto afferma che, qualora il contenuto complessivo di THC del raccolto risulti compreso tra lo 0,2% e lo 0,6%, nessuna responsabilità è posta a carico del coltivatore, che – a tutti gli effetti – sta portando avanti una coltivazione agricola legale.
Così facendo la L.242/2016 ha finalmente rinnegato oltre sessanta anni di menzogne e disinformazione sulla vera natura miracolosa della canapa sativa. Infatti, il legislatore italiano torna ad usare parole quali: “il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.)” e tale sostegno e promozione riguardano la coltura della canapa finalizzata:
- alla coltivazione e alla trasformazione;
- all’incentivazione dell’impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali;
- allo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzano i risultati della ricerca e perseguono l’integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale;
- alla produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori;
- alla realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca.
Cioè a dire che non solo si può tornare a coltivare liberamente la Canapa sativa, ma anche che tale coltura è protetta e incentivata proprio a fronte dei molteplici benefici che è in grado di apportare alle economie che la sostengono.
Il Mipaaf (Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo) ha inoltre precisato che, con specifico riguardo alle infiorescenze della canapa, queste, pur non essendo citate espressamente dalla l. 242/2016, rientrano fra le coltivazioni destinate al florovivaismo, purché abbiano THC nei limiti e non contengano sostanze dannose per la salute.
Dalla canapa è dunque possibile ottenere:
- alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;
- semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, olii o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;
- materiale destinato alla pratica del sovescio (pratica agronomica consistente nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno);
- materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
- materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;
- coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
- coltivazioni destinate al florovivaismo (produzione e commercializzazione di fiori recisi e di piante in un complesso di serre e vivai).
L’uso della canapa come biomassa ai fini energetici è consentito esclusivamente per l’autoproduzione energetica aziendale, ed è regolamentato da precisi limiti e condizioni.
Questa legge è stata accolta con grande entusiasmo perché – fatto rivoluzionario – si spinge fino ad istituire incentivi economici e finanziari.
Il suo obiettivo è supportare tutti coloro che operano nella filiera della canapa e diffondono, attraverso specifici canali informativi, la conoscenza delle proprietà benefiche della canapa nel campo agronomico, agroindustriale, nutraceutico, della bioedilizia, della biocomponentistica e del confezionamento, nonché a riconoscere un sistema di qualità alimentare per i prodotti derivati dalla canapa.
Come è cambiata la legge sulla coltivazione di canapa sativa
Le varie norme, susseguitesi nel tempo, creano ancora oggi questioni interpretative di non poco conto che non si risolvono leggendo esclusivamente il testo della L. 242/2016.
Per assurdo, né la normativa italiana né quella europea citano espressamente le infiorescenze tra le parti utilizzabili, pur non proibendole esplicitamente.
Paradossalmente, si potrebbe coltivare lo zafferano ma non commercializzare le sue infiorescenze, poiché esse non vengono esplicitamente citate dalla normativa stessa.
Ciò ha spinto alcuni interpreti (fra magistratura e uffici ministeriali) a ritenere ancora valida la distinzione fra canapa industriale e cannabis, operata da norme decisamente “datate” (vedi Convenzione Unica Stupefacenti, varata dall’ONU a New York nel 1961 e tuttora in vigore, recepita in Italia dalla L. 412 5 giugno 1974).
Secondo la norma la cannabis sarebbe vietata in quanto (per definizione indimostrata) avrebbe sempre un potere drogante.
Il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha inviato nel gennaio 2019 una lettera al Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, invitando a modificare l’inquadramento della Cannabis nella Convenzione Unica, raccomandando:
- di cancellare dalla Tabella IV degli Stupefacenti la Cannabis e le Resine di Cannabis;
- di cancellare dalla Tabella I gli Estratti e le Tinture di Cannabis;
- di riconoscere in una nota che “i preparati contenenti in predominanza Cannabidiolo e non più dello 0,2% di Δ9-Tetraidrocannabinolo non sono sotto controllo internazionale”.
Il 2 Dicembre 2020 la Commissione ha votato a favore della rimozione della cannabis dalla Tabella IV della Convenzione Unica del 1961 sugli Stupefacenti, dove era elencata insieme a cocaina ed eroina per ben 59 anni. Di conseguenza, la classificazione della cannabis come sostanza stupefacente pericolosa è stata rivista. Questa decisione ha aperto la strada al riconoscimento del potenziale terapeutico della cannabis, che in diversi Paesi viene utilizzata per trattare disturbi che non rispondono ai farmaci tradizionali.
La votazione sulla raccomandazione dell’OMS di rimuovere la cannabis dalla Tabella IV, la categoria più restrittiva che include sostanze stupefacenti “pericolose”, si è conclusa con 25 voti contrari, un’astensione e 27 voti favorevoli, tra cui quello dell’Italia.
Pertanto da allora tutte le parti della pianta di canapa (fiori, foglie e resine comprese, purché con THC inferiore allo 0,2%) possono essere utilizzate in ambito industriale senza minacce penali, purché ovviamente nel rispetto delle normative dei settori di impiego.
Canapa sativa: scenari futuri
È difficile fare pronostici in merito al futuro della coltivazione e trasformazione della canapa sativa, proprio a fronte dei diversi interessi in conflitto sul campo: progetti di economie eco-sostenibili, da una parte, e multinazionali farmaceutiche e petrolchimiche, dalla parte opposta.
Tuttavia, le stesse multinazionali farmaceutiche e petrolchimiche stanno già da tempo mostrando interesse verso la gestione e il controllo anche del mercato della canapa e dei suoi derivati, tanto che il timore più giustificato, circa il futuro di questa pianta, sembra proprio essere quello di un futuro ancora dominato dall’oligopolio delle solite società “dominatrici” sul globo.
Volendo però seguire un semplice ragionamento logico (oltre che giuridicamente ineccepibile), viene da essere ottimisti.
Ogni buon giurista sa che le norme giuridiche non costituiscono oggetto di fede religiosa: esse hanno ragione di esistere finché l’ordinamento giuridico è convinto di tutelare i migliori interessi di una comunità.
L’ottimismo a cui si è fatto cenno si fonda su una semplice ma spiazzante considerazione: la coltivazione del prezzemolo è lasciata al libero arbitrio di ciascuno, ma questa pianta, oltre a non offrire alcun potere curativo rilevante presenta svariate pericolosità (finanche mortali), confermate dalla letteratura scientifica.
D’altro canto la canapa (anche e soprattutto quella ricca di THC), non solo non registra un solo caso di mortalità per abuso nella propria gloriosa Storia millenaria, ma possiede qualità terapeutiche, confermate dalla letteratura scientifica, sempre più confermate dagli ultimi anni di studi, capaci di rivoluzionare lo stesso concetto di medicina industriale.
Poiché la logica e i principi giuridici non possono essere ignorati, appare evidente e naturale che legalizzare la coltivazione della canapa non possa prevedere limitazioni più stringenti di quelle assegnate alla coltivazione e al consumo del prezzemolo, lasciati al libero arbitrio del privato cittadino.